sabato 18 novembre 2017

Il vecchio e il nuovo. La crocifissione e il dramma della sofferenza

Questa rubrica settimanale propone il confronto tra due opere dell'arte figurativa - pittoriche, scultoree o architettoniche - che siano rappresentative di due distinti periodi della scienza e della tecnica dell'uomo: l'età dei pigmenti naturali, che spazia dal neolitico fino alla società preindustriale, e l'età dei pigmenti artificiali, che dal XIX secolo arriva fino ai giorni nostri.

Le opere proposte non sono accostate in modo del tutto casuale. Ciascuna coppia di immagini è infatti presentata come la manifestazione duale di una medesima tonalità cromatica o di un medesimo soggetto, nonostante esse appartengano a ambiti artistici, storici e culturali anche molto lontani tra loro.

Giovanni Martino Spanzotti, La Crocefissione, 1485-1490, affresco, Chiesa di San Bernardino, Ivrea (To).
Quest'opera appartiene al cosiddetto tramezzo spanzottiano, un ciclo pittorico che narra in venti scene la vita di Cristo e costituisce un piccolo esempio di biblia pauperum per le genti del contado eporediese. Una curiosità: la chiesa e il convento di San Bernardino, sconsacrati già in età napoleonica, furono acquistati da Camillo Olivetti, che ne fece la propria dimora. Oggi il complesso fa parte del patrimonio culturale della Fondazione Olivetti.
Renato Guttuso, Crocifissione, 1941, olio su tela, 200 x 200 cm, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma.
L'artista reinterpreta in chiave neorealista un soggetto molto comune nell'iconografia cristiana, adottando una prospettiva e dei colori tanto inusuali per questo genere di rappresentazione quanto espressivi e drammatici. Il supplizio della croce è per Guttuso una metafora delle atrocità a cui l'umanità intera è sottoposta a causa della seconda guerra mondiale.

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